Metri s.l.m. 1068
Campigna è un nome di probabile origine romana, dal latino campilia (campus – ilia) con significato di insediamento comunitario. Ciò deriverebbe da una circoscrizione territoriale militare di età imperiale qui presente. L’alternativa sarebbe una derivazione da campanea = campagna piana, che rispecchia l’aspetto fisico della zona in contrapposizione alle montagne scoscese tra cui si trova.
La storia di Campigna ha inizio quindi molto indietro nel tempo. Gli studi più recenti sembrano attestare la presenza in questa zona di antichi gruppi nomadi di pastori-raccoglitori-cacciatori Liguri (Tra questi gruppi, oltre agli Apuani, i Frinati e i Mugelli, vi erano i Clausentini. Sembra che questi ultimi trovarono nel Falterona, ed in seguito in parte della valle casentinese, un luogo dove svolgere i loro culti e dove procurarsi abbondante selvaggina. In particolare dopo un periodo di freddo intenso, quando le temperature iniziarono ad aumentare nuovamente, iniziarono a vivere per buona parte dell’anno in queste montagne). Queste tribù sarebbero giunte sino a qui dalla Provenza passando le Alpi e seguendo nei loro spostamenti la dorsale appenninica, per poi arrestarsi in Casentino (dove probabilmente entrarono in contatto con i Tirreni) e nell’alta Val Bidente. Non avranno invece contatti con gli Umbri stanziati nella media valle del Bidente. Questa tesi è avvalorata dal ritrovamento in Campigna nella prima metà del XIX secolo di una sepoltura attribuibile al III millennio a.C. ed appartenente forse ad un capo tribù ligure (Nella sepoltura si trovava una lancia, posta al fianco destro della salma con impugnatura carbonizzata e punta in selce. Inoltre il defunto stringeva nella mano sinistra un corno di capriolo. Si potrebbe trattare della tomba di un capo tribù oppure di quella di un pastore-guerriero ligure. Il ritrovamento è attestato nell’archivio archeologico di Gian Francesco Gamurrini e nelle memorie dell’Ispettore forestale Karl Siemon. Purtroppo al momento non è nota la collocazione degli oggetti).
Le vie utilizzate da queste antiche popolazioni sono spesso le vie di crinale che ancora oggi noi possiamo percorrere, e lo stesso fu per il popolo Etrusco che abitava la parte casentinese dell’Appennino. Le maggiori attestazioni archeologiche restano infatti sul versante toscano (Lago degli Idoli) ma anche in Campigna fu rinvenuta casualmente una statuetta (Si tratta di una statuetta in bronzo di VII-VI secolo a.C. con elmo e cimiero. Probabile raffigurazione di divinità guerriera (forse Marte guerriero). Si può supporre che appartenga a popolazioni etrusche. Anche in questo caso non se ne conosce la collocazione ma il ritrovamento è certo: attestato nelle memorie di Siemon (che lo rinvenne) e tramandato dalla Guida di Carlo Beni) che potrebbe testimoniare il passaggio di questa popolazione. Sicuramente essi utilizzarono le vie di crinale che collegavano Arezzo e la Padania per scambi commerciali.
La frequentazione di queste zone non si arrestò neppure con il dominio romano. Proprio gli stessi itinerari appenninici entrarono infatti a far parte della Via Flaminia militare (o minor), fatta costruire dal Console Caio Flaminio nel 187 a.C., con lo scopo di rendere più veloce il collegamento tra Bologna e Arezzo e di avere un migliore controllo del territorio (da queste zone passava probabilmente una delle possibili varianti e non il tratto principale di questa via). In epoca imperiale doveva trovarsi in Campigna un campus, ovvero un insediamento con principale funzione di approvvigionamento più che di difesa militare (castrum). Dalle enormi foreste presenti qui già i romani si procuravano il legname per le necessità delle imponenti flotte di Classe, Rimini e Ravenna. Non solo, questa materia ebbe anche largo impiego nella costruzione dell’acquedotto (che prelevava le acque delle sorgenti di Cabelli e procedendo per la valle del Bidente portava acqua fino a Ravenna. Nella prima parte del percorso i tubi erano interrati grazie alla conformazione montagnosa del terreno) fatto edificare dall’Imperatore Traiano alla fine del I secolo d.C. nella valle bidentina.
Con il crollo dell’Impero romano la Valle del Bidente e le zone di crinale come Campigna passarono sotto il dominio dei Bizantini e degli Ostrogoti loro foederati. Sorgono circa in questo periodo torri di altura per arrestare l’avanzata dei Longobardi in direzione Ravenna nell’alta Valle d’Arno, anche se non saranno ottenuti molti successi.
Dopo la morte di Carlo Magno che aveva restituito stabilità all’Italia, iniziarono a prendere potere in questi luoghi signorotti locali di origine longobarda e franca spesso grazie a matrimoni con aristocratici bizantini.
Uno di questi casi è rappresentato dai Conti Guidi che estesero il loro dominio su gran parte dell’Appennino tosco-romagnolo. Nel 1223 compare infatti il primo documento scritto che cita Campigna: esso riporta la cessione ai Conti Guidi con contratto di livello (tipo di affitto a lunga scadenza) da parte degli Abati di Sant’Ellero a cui appartenevano queste zone in quel periodo. I numerosi castelli della zona testimoniano l’importanza del territorio nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e fu proprio in seguito a queste lotte che alcuni dei Guidi nel XIV secolo si inimicarono la Repubblica di Firenze.
Quest’ultima iniziò così ad espandersi verso quella che sarebbe diventata la Romagna toscana.
Nel 1376 la selva di Campigna (detta allora di Corniolo) e altre zone limitrofe erano ormai state portate sotto il dominio della Repubblica, per poi essere assegnate nel 1380 all’Opera del Duomo di Firenze.
In questi anni abitavano in Campigna solo pochi mandriani che lavoravano per gli Abati, i Monaci e i Conti Guidi, sarà dal 1392 che l’Opera inizierà a sfruttare sempre più le foreste per il loro prezioso legname, dal quale tra l’altro si ricavavano gli alberi maestri per le navi dei porti di Pisa, Livorno e della Francia Meridionale.
Nel 1427 si iniziano a formare le prime leggi per la tutela della foresta a solo vantaggio dell’Opera, e sempre per volontà dei dirigenti di quest’ultima dal 1561 si ha in Campigna il primo insediamento stabile per un maggior controllo della foresta. Dal XVI secolo in poi fu infatti sempre più intenso l’afflusso verso la montagna a caccia di terreni da disboscare per poi essere messi a coltura, da parte di gente affamata e senza altre risorse. Sempre a questo periodo risale anche l’antica chiesetta di Campigna poi distrutta durante la Seconda guerra mondiale.
L’attuale Hotel Granduca ha sede nell’unico edificio presente in Campigna alla fine del secolo XVIII. Qui avevano spazi appositi dedicati all’amministrazione gli enti forestali.
Oltre a questo edificio si trovava in Campigna anche una cascina con stalla per la produzione di burro, formaggio, ricotta, raviggiolo (formaggio fresco che viene lasciato coagulare per poco tempo e poi fatto scolare tramite canestri di vimini o foglie, ad esempio di felce) e scottino (piatto costituito da pane spezzato in una zuppiera sopra al quale era versata ricotta mista a scotta secondo siero. Si consumava freddo in particolare per colazione). Il gestore dell’epoca, Ringressi Bartolomeo, si arrangiava poi concedendo ospitalità ai passanti e tenendo una piccola bottega, oltre ad essere conduttore capo del legname.
Verso la fine del ‘700 il taglio del legname fu liberalizzato dal Granduca e la foresta ,essendo stata lasciata in abbandono dall’Opera, nel 1818 fu assegnata ai monaci Camaldolesi che la mantennero fino al 1838. Essi non ne ebbero gran cura e la situazione rimase pressoché invariata.
La foresta entrò allora a far parte delle Reali possessioni del Granducato di Toscana mentre i poderi coltivati restarono ai monaci. Solo nel 1837, con l’arrivo del boemo Karl Siemon, Campigna con i suoi boschi e i suoi operai (incrementati di numero) fu valorizzata e spinta verso metodi di gestione forestale innovativi che ne hanno migliorato le condizioni. Si cercò di reintegrare la foresta e di formare una solida attività di allevamento (In questo periodo si allevavano in Campigna: 120 pecore merine, 14 capre, 4 maiali, 2 bestie da soma e 12 cervi – dall’archivio dell’Accademia dei Georgofili), rivedendo anche il sistema di colture in modo da consentire al bestiame di svernare senza bisogno della transumanza. Si iniziò a produrre anche carne e lana oltre ai latticini e venne incrementata la produzione di carbone. Campigna fu anche sede di una tenuta di caccia granducale per la quale furono introdotte o reintrodotte numerose specie cacciabili tra cui daini, cervi e mufloni.
Alla fine dell’Ottocento la famiglia dei Lorena, che aveva acquistato la foresta, iniziò a disinteressarsi ad essa cercando poi di venderla. Un acquirente, Cav. Ubaldo Tonietti, fu trovato nel 1900, ma già nel 1906 egli aveva ceduto la proprietà alla Società Anonima per le Industrie Forestali. Dal 1914 la foresta di Campigna è proprietà dello Stato e nel 1923 passerà sotto la Regione Emilia-Romagna.
Durante la Seconda guerra mondiale un comando tedesco si stabilì al Granduca per gestire e realizzare le fortificazioni della Linea Gotica sul crinale con lo scopo di arrestare l’avanzata alleata. La chiesa fu utilizzata come deposito munizioni (poi fatta saltare durante la fuga) e nella zona sorsero vari bunker per l’immagazzinamento di provviste e per l’alloggio dei soldati. Per quanto riguarda Campigna non ci sono stati scontri degni di nota con le forze alleate, la linea fu abbandonata prima dell’arrivo delle truppe. Numerosi furono invece gli scontri con le forze partigiane che organizzarono una strenua resistenza.
In seguito al massiccio esodo iniziato negli anni Trenta e intensificatosi tra anni Cinquanta e Settanta tutti i terreni prima coltivati della zona furono abbandonati e acquistati dall’Azienda di Stato delle Foreste demaniali e poi gestiti dal Corpo Forestale dello Stato. Dal 1976 questi territori divengono di pertinenza della Regione Emilia-Romagna con l’istituzione nel 1989 del Parco Regionale del Crinale Romagnolo e nel 1993 del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Al giorno d’oggi Campigna è il nucleo centrale del Parco. In zona si trovano oggi alberghi e ristoranti, un Punto informazioni, un piccolo museo forestale, servizi pubblici, e piste per la pratica degli sport invernali.