Gli abitanti dei territori dell’attuale parco hanno potuto usufruire da sempre di ambienti con abbondante selvaggina. Ciò, unito alla necessità di integrare una dieta molto povera di proteine, ha portato a maturare la “passione per la caccia” in buona parte delle popolazioni rurali. Spesso contravvenendo alla legislazione venatoria dell’epoca, contadini e braccianti non cacciavano solo per diletto (come succedeva nelle classi aristocratiche o benestanti) ma per trarne cibo e denaro, ricavato anche dalla vendita delle pelli.

I cosiddetti bracconieri (quasi sempre rappresentati dai capifamiglia) durante i lunghissimi inverni compivano spedizioni nel cuore della foresta demaniale ai margini dei loro campi e, se andava bene, tornavano a casa con quarti di cervo o daino o capriolo. Il bracconiere era capace di andare in foresta e restarci anche una settimana, con la neve alta un metro e le guardie granducali che, a loro volta, lo braccavano. La loro caccia non veniva effettuata solo con archibugi, ma spesso utilizzando sistemi molto più modesti come i lacci, le reti e le trappole: lacci di crine di cavallo o con l’infiorescenza di alte graminacee, archetti formati da bastoncini incurvati che, scattando, facevano restringere dei cappi, ceste di vimini appesantite da una pietra che cadeva al momento dell’ingresso di una preda e tutta una serie di strumenti realizzati con materiali poveri e di semplice reperimento.

Altro tipo di caccia era quella esercitata a “beneficio della collettività”, cioè la caccia ai predatori come lupi (i cosiddetti Lupai) volpi, faine, puzzole, che rappresentavano una minaccia per gli allevamenti domestici e le colture e che era compito di cacciatori esperti. Il lupaio era dotato di una vera e propria patente. Dagli studi archivistici si rileva che a Badia Prataglia, tra il 1600 ed il 1700, era attività praticata e spesso tramandata di padre in figlio. In un Bando del 1652 si legge che “… detti lupai sieno ben trattati, alloggiati, et accarezzati” senza alcuna gabella; possono avere con sé qualsiasi arma e “nessuno ardisca offendere, o maltrattare detti lupai […] sotto pena della galera a vita”. Una categoria quindi stimata e “protetta”.

Al povero desco contribuiva anche la pesca con le lenze (corde, filaccioni) e con piccole reti a sacco per trote e altri abitanti dei torrenti. Ma soprattutto era praticata la pesca con le mani e con la mazza; quest’ultima consisteva nel colpire con violenza e con una mazza di ferro, i sassi sotto ai quali si rifugiavano i pesci, tramortendoli quel tanto che bastava perché un assistente facesse in tempo ad afferrarli.